Nubika

NubikA – Capitolo Terzo


“Quindi sei qui per uccidermi”. Le parole scivolarono veloci come rasoi, più affilate delle forbici incollate al suolo. Il loro suono era privo di comprensione, paura, emozione. Vuote lettere in successione, constatazione pura e semplice d’una cruda realtà. Si piegò lentamente fissando l’uomo dalla carnagione lattea, raccolse gli arnesi da taglio per il manico continuando a guardarlo senza più parlare. Turbine era occhi negli occhi con l’umano. Serio e impassibile, aveva perso il sorriso. Kaydence non si decideva a posare le lame, tanto che l’ex messaggero ruppe il silenzio. “Sono caduto da altezze che nemmeno potresti comprendere, sopravvivendo. Ho abbandonato tutto ciò che ha contraddistinto la mia esistenza, perso il mio status di primo messaggero e probabilmente la possibilità di tornare nuovamente a NubikA. Lasciato reclute nel bel mezzo di un addestramento serrato, si può dire che abbia rinunciato alla mia vita per salvare la tua. Se ti volessi morto sarei rimasto su, non ti sembra? E comunque, seriamente pensi di affrontarmi con un paio di forbicine? Sono bellissime, davvero, e scommetto che le foglie tremano al sol guardarle ma… non sono l’omino di carta, Briggs. Lascia perdere il tuo risentimento per un attimo e ascolta le mie parole. Per recuperare il sigillo devo indurti alla morte, non ucciderti. Portarti tanto vicino alla linea di confine da annientare quasi totalmente la vita che ti anima, ma questa è l’unica via che ci resta per garantirti una possibilità di sopravvivenza. Nel mio regno c’è chi sacrifica parte della propria energia vitale, soffrendo oltre il limite del consentito, per guadagnarsi quelli che noi chiamiamo ‘cristalli di vento’. Lo facciamo per essere pronti a situazioni come questa, in modo da ampliare lo spettro delle possibilità a nostra disposizione. Esiste un cristallo blu, ha la capacità di duplicare il corpo di chi lo usa. Ottenerlo non è semplice ma è indispensabile che io lo abbia. Sono nel passato Kaydence, dovrei essere a dieci anni da oggi per aiutarti davvero. Nel futuro tu crollerai. Smetterai di ricordare tutto ciò che vivrai dal momento in cui il sigillo si perderà. Conserverai la memoria passata, questo momento sarà nella tua memoria, ma non so quali danni la tua mente dovrà sopportare. Ho una teoria: se recupero ora il sigillo, mentre siamo qui, saremo in vantaggio per quando ce ne sarà effettivamente bisogno. Kaydence, tra dieci anni potresti essere un vegetale. Lascia a me il compito di recuperare il cristallo, soffriremo le stesse pene. Se sono qui non è per ucciderti, se sono qui è perché tu possa ricordare il tuo futuro anche quando sarà passato”.

Kaydence tornò a sedersi. Annabeth, che aveva assistito a tutta la scena senza emettere fiato, scelse di esprimere il proprio pensiero. Si confrontò con l’uomo, analizzando l’assurdità di quella situazione. I tre chiacchierarono a lungo, cercando di figurare i pro e i contro, ogni diramazione venisse loro in mente. Annie sfornava domande in continuazione. Voleva sapere. Turbine l’aveva turbata profondamente. Ma lei era pratica, lo era sempre stata, così colse l’occasione per sondare ancora e ancora ogni sfumatura di quella teoria. Il messaggero non risparmiò alcun dettaglio. D’un tratto una domanda lo spiazzò, nonostante fosse piuttosto prevedibile: come hai perso il sigillo. “Ad essere sinceri” riferì il suddito di NubikA “nessuno di noi ha mai perso un sigillo da quando esistiamo. Il mio è semplicemente svanito. Continuo ad interrogarmi su questo, purtroppo non sono in grado di fornire una spiegazione logica. Sono profondamente dispiaciuto, Kaydence, ma voglio aiutarti a costo della mia vita”.

Il percorso cangiante. Accesso alla Terra per ogni messaggero. Per collezionisti di ricordi ogni nuvola finiva per definirsi “percorso cangiante” ma quello autentico era posizionato a migliaia di metri sopra le teste di uomini e donne soliti a lamentarsi del tempo, chi per il troppo sole e chi per il cielo coperto. Il percorso garantiva accesso ai cancelli del regno. L’utilizzo era consentito a messaggeri e spire, ma queste ultime non si interessavano più di visitarlo da tanto tempo. Così capitava, a volte, che alcuni allenamenti rivolti alle nuove reclute fossero eseguiti direttamente sul “campo”. Ogni nubikiano aveva dimestichezza con aria e nuvole, ma chi aspirava al ruolo di messaggero era principalmente un atleta. Quella sera una di queste promesse era sdraiata su una bianca enorme, vaporosissima. Aveva già dato ampia prova delle sue doti da velocista, si era dimostrata la più rapida tra i nuovi arrivati. Preparata e attenta, lasciava l’energia scorrere dentro di sé incanalando i ricordi con naturalezza. L’umana a cui era collegata ora dormiva di un profondo sonno inquieto. Turbine l’aveva iniziata tre cicli prima, prendendosene cura come faceva con ognuno di loro. Era rimasto in coda al gruppo di quattro reclute, sfidandoli a compiere il percorso utilizzando solo le bianche più estese nel minor tempo. Tutti sbagliano la prima volta. Lei era diversa. Avvertiva il cambiamento climatico, scegliendo istintivamente la direzione migliore in cui procedere. Agile e impulsiva, dominava le correnti. Sapeva correre linearmente, come tutti, ma lo faceva su più livelli. Aveva stracciato i suoi compagni facilmente, sfidando direttamente il primo messaggero. Adorava vederlo correre. Ma non quella sera. Quella sera le doti da lei utilizzate erano di altra natura. Sdraiata al margine estremo di una bianca argentata di luce lunare, rifletteva. Per quanto provasse a collegare i pezzi, semplicemente non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo. Riusciva a vedere l’incantevole splendore di una città notturna completamente illuminata, i suoi disegni intrecciarsi come pezzi di puzzle ed era ancora niente rispetto alle informazioni acquisite quel giorno. Da giorni attendeva impaziente l’arrivo del suo maestro, speranzosa di vederlo nuovamente lanciarsi tra gli sbuffi variopinti dell’etere. Ma ora che questo giorno andava a morire per dare vita a uno nuovo e candido, le domande s’accavallavano in continuo mutamento. Forse il ritardo del suo mentore era meglio rispetto a un confronto scomodo. Forse, non era tempo di correre.
Lei era il messaggero di Annabeth e il suo nome era Replica.


NubikA – 03

NubikA – Capitolo secondo

NubikA – 02

NubikA – Capitolo primo

NubikA – 01

NubikA – Prologo

Nubika

NubikA – 03


NubikA – Castello di Spuma, residenza della principessa. 

I corridoi di Spuma erano composti da piccole e medie bianche in successione. Serpeggiavano alternandosi a differenti altezze, costellando l’intera struttura mutevole. Osservare Spuma durante il giorno, senza aver nulla da fare, significava immergersi nelle lucenti tonalità donate dal sole e vederle fondersi ad acqua in sospensione. Ogni forma sembrava palpitare, modificandosi costantemente, allungando ogni estremità; vita caotica e colorata. Spuma era la rifrazione dell’onda che cresce, decresce e si riforma, governata dalla Luna maestra sua gemella. Cuore nevralgico d’un regno volatile, paradiso di ricordi, in costante viaggio cosmico.Gli Aliti di vento, i suoi custodi. Impeccabili sentinelle neutre pronte a difenderne il destino. NubikA, una Regina priva di Re che tutti ancora chiamavano “Principessa”, anima del reame. Aria radente sulle superfici semi-immobili del castello, Prima Spira, Alito per eccellenza e donna impetuosa quanto il vento. Lo credeva morto. Non aveva attivato il cristallo dalla consegna di Replica. Ed ora volava selvaggiamente alla ricerca della mente di quel luogo, per unire al telaio di vapore il retaggio del messaggero.

Cristallo del vento, cono energetico di sospensione. La sua struttura muta in seguito ai ricordi che riceve, ma il colore ne determina il funzionamento. Attualmente, solo tre dei venti cristalli sono ancora presenti. Reperirne uno richiede una certa predisposizione alla sofferenza fisica, all’impiego massivo di energia vitale e una mente lucida. Un fallimento è caduta. Non sono in molti a sfidare la sorte. Il blu duplica il corpo. Si attiva al compimento d’un evento specifico. Per mantenersi, gode della sua sola energia, energia alimentata dalla connessioni tra le metà. Se le parti non entrano in risonanza non possono tornare a fondersi. La lucentezza indica la quantità d’energia presente nel cristallo. Più è limpido più è duraturo l’effetto. Connettere un cristallo alla Volta dei Pensieri, completa l’attivazione: La sospensione si spezza e i ricordi confluiti nel cristallo si riversano in entrambi i soggetti, iniziando il processo di connessione. Chi merita un cristallo, ha un simbolo di riconoscimento personale. E’ il simbolo dell’accortezza nell’usarlo. Una Spira. Occhio di NubikA.

Giunta alla Volta dei Pensieri, inserì il cristallo. Si udì un soffio che divenne nota, richiamo alto rassomigliante al fischio del vento. Il blu disperse colore nell’acqueo panneggio candido.  Tutta la volta si accese di nuova luce. Due fasci blu squarciarono il cielo in direzioni diverse, annunciando al popolo l’uso del cristallo. Colta di sorpresa, Spuma s’arrestò per un instante, curiosa d’osservare su chi si sarebbero posati. Il primo saettò sulla piana delle tempeste, provocandone un gorgo interno, formando una tromba d’aria che discese senza mai arrestarsi; il secondo terminò in un punto imprecisato di quel cielo limpido senza lasciare traccia.

E’ dove si è manifestato il salto elettrico, realizzò la principessa.

In ospedale il tempo sembrava essersi pietrificato. Lo sguardo di Annabeth era focalizzato, ormai da un’ora, su una presa elettrica collocata sul muro di fronte a lei. Il corridoio verde della corsia non infondeva nessuna speranza. Una scena del passato le balzò rapida alla mente. Un discorso vecchio di anni eppure così presente, attuale. Giocherellava distrattamente col pendente d’argento al collo. Pensava a Kaydence, pensava alla sua salute e alla voglia di vivere che da sempre lo aveva contraddistinto. Era arrabbiata, non triste, arrabbiata. Impreparata, timorosa di perdere tutto, sola. Lasciò la sala d’attesa e si diresse fuori, in cerca di ossigeno e aria. Evitò qualunque contatto estraneo, accelerò il passo. Si sentiva soffocare. Ricacciando a forza in gola le emozioni trasformatesi in magone che rischiavano di farle perdere il controllo, prese la porta d’ingresso spingendola con forza e si ritrovò in strada. Chiese sigaretta e accendino a un passante. Tirò la prima boccata bruciandosi i polmoni. Non fumava da dieci anni ormai. Guardò il cielo. Tetre nuvole rigonfie e fredde. Nere presenze inquietanti. Le dita tremavano dalla rabbia mentre passeggiava avanti e indietro. Non avevano avuto figli. Perchè? Forse vivevano talmente bene l’uno dell’altra che non ne sentirono mai il bisogno. L’idea di perderlo era insopportabile. Alzò nuovamente gli occhi al cielo. C’era un vento pungente quel giorno, frutto d’una primavera acerba. Le nuvole si facevano sempre più dense e scure. Ferma con lo sguardo puntato in alto, si sedette su una panchina in pietra bianca, tipica delle grandi piazze. Dove sei, pensò, dove sei?

“Signora Briggs, posso parlarle?” Il dottore si sedette accanto a lei. Kaydence era in coma. Aveva ripreso coscienza per un attimo, chiesto della moglie, inconsapevole sul dove si trovasse e sul perchè. A distanza di breve tempo, aveva posto le stesse domande in un ciclo senza fine. Sembrava non riuscire a mantenere le informazioni abbastanza a lungo da memorizzarle. Poi, il secondo crollo. Persa la coscienza, si trovava ora in un limbo lavabile e privo di ritorno. Segnali stabili dai monitor di controllo, non restava che attendere. Avrebbero fatto altri esami. L’avrebbero informata costantemente. Tante parole, troppe parole. La sensazione che tutte le cure mediche nulla avrebbero potuto per svegliare il suo amore. Lei sapeva, era presente. Osservava il cielo aspettando un segno che non giungeva. Intrappolata nel silenzio, incapace di poter condividere ciò che stava accadendo, fumò ancora. Rifletté a lungo sulle possibilità a sua disposizione. Un’idea la sfiorò. Forse era follia, forse non serviva a nulla ma forse valeva la pena tentare. Si concentrò. Raccolse le idee in modo cronologico, attribuendo loro un percorso lineare. Provò a scolpirle nella mente e per maggiore sicurezza si alzò, entrò in una cartoleria, acquistò un taccuino e iniziò a scrivere sperando ardentemente di suscitare le giuste domande per ricevere finalmente aiuto.


NubikA – Capitolo Terzo

NubikA – Capitolo secondo

NubikA – 02

NubikA – Capitolo primo

NubikA – 01

NubikA – Prologo

Nubika

NubikA – 02


L’effetto fu quello di un giro della morte. Atterrava in un luogo solo per ripartire un secondo dopo. Nemmeno il tempo di ambientarsi e capire. Mutavano temperature, clima, odori, mentre collezionava istantanee dei vari luoghi in un raccoglitore di immagini che non sapeva nemmeno se avrebbe conservato. Volatilità d’eventi. Miscuglio di pensieri frammentati e intangibili. Viaggio scomposto di realtà aumentate che avrebbero condotto alla follia chiunque altro. Nessun appiglio al quale sorreggersi, nessun modo per stabilizzarsi e respirare correttamente, ogni cosa sembrava contorcersi dentro a quella spirale che da stinta riprendeva gradualmente colore a ogni salto. Al pari di una scia impazzita, rimbalzava sulle caselle colorate di un tabellone; luce pulsante, evanescenza, visione. Era come affrontare il percorso cangiante senza averne il controllo, senza sapere se il senso fosse una certezza da agguantare o semplice miraggio da osservare perché svanisse. Rimbalzava dentro a un flipper fatto di molle pronte a spingerlo via senza riuscire a fermare la trascinante sensazione di nausea provata da quando aveva riaperto gli occhi su questo mondo. Connessione interrotta di una realtà spezzata. Quadro in frantumi prossimo a ricomporsi per frangersi nuovamente, in un loop frenetico di materia incapace di collocarsi concretamente nel suo giusto spazio. Anomalia contro le leggi della fisica. Essere piegato a voleri cosmici ancora taciuti. Atterrò in ultimo sul pavimento lucido di una stazione metropolitana, scivolando come un boomerang contro un muro, per poi confondersi nei gradini grigi al di sotto, vicino al mezzanino semi deserto.

Aveva un aspetto cadaverico ma almeno era di nuovo fermo. Decise di sedersi. Lo faceva per Briggs, certo, ma cosa si era messo in testa? Gli aliti di vento avevano regole. Regole che non conosceva. Dietro al salto elettrico si narravano storie di ogni stampo. Solo, alienata forma in un mondo che credeva di conoscere. Niente di tutto questo sarebbe mai accaduto a NubikA. Si sentiva morire. Aveva forse sacrificato la sua vita inutilmente? Non sapeva niente. Piegato al controllo di altre entità, percepiva la sua forza annientarsi. Un vuoto senso d’abbandono si impossessò di lui, costringendolo a lacrime incessanti.

“NubikA…. ti imploro… aiuta…”. Tremavano, non riusciva a farle smettere. Era come scosso da febbre e le sue mani vibravano visibilmente. Luci al neon, urla metalliche e il freddo marmo di una panchina non contribuivano certo a migliorare la situazione. Nemmeno i suoi abiti sportivi, ora laceri e sporchi, garantivano la benché minima forma di aiuto. Aveva il vuoto attorno, lo sapeva. I pendolari non amano certo la presenza di elementi ambigui prima di rincasare. Era solo al centro della banchina. Un’altra fitta, questa volta più forte. Scartò di lato e rigettò bile, mancando il cestino di pochissimo. Quando tutto era divenuto così buio? Non distingueva nulla nella penombra. Infilando due dita nella tasca posteriore della tuta, estrasse un fazzoletto di tela per pulirsi il viso ma le sue mani lo fecero volare in aria. Una signora sulla settantina cercò, spaventata, d’affrettare il passo per superarlo. Aveva gli occhi sgranati e fissi su di lui, così non si accorse del fazzoletto che investì i suoi sferici occhi verdi, facendola precipitare oltre la linea gialla. Le ossa fragili scrocchiarono. La folla distante gli si aizzò contro, spiazzandolo completamente. Un minuto spaccato all’arrivo del treno. Tremando incontrollabilmente, saltò nel letto metropolitano, si caricò l’anziana in braccio per deporla nuovamente sulla banchina sudicia. Lei si riebbe, inorridita dal viso dell’uomo e dal luogo in cui era. Strillò con tutta la voce che le restava, graffiandogli occhi, viso e strappandogli ciocche di capelli. Turbine, sbilanciato e già dolorante, isolò la mente in un punto imprecisato dell’universo. Lanciò letteralmente la donna in salvo. Il treno passò in quell’esatto istante, se lo caricò velocemente in braccio e il suo urlo fu coperto da quello dei freni.

Vide. Vide l’interno del treno, i passeggeri lanciati in avanti, le giunture tra i vagoni, ruote scintillanti, donne e uomini contro di lui, tutto nel tempo di un respiro. Era passato attraverso di loro, anche stavolta. Quelle mani, non riusciva a farle smettere. Vomitò nuovamente. Fermo a carponi nel tunnel retrostante la stazione, utilizzò le sue ultime forze per trovare una via di fuga, appoggiandosi al muro nero per non crollare.

“E’ andato, Mike. Non lo vedo più.” riferì una voce che fu in grado di sentire, anche a quella distanza.”Cercherà di uscire alla prossima stazione o a metà strada. Avvisa gli altri, non possiamo perderlo di nuovo. Maledetto teleporta”.

Turbine scivolò a terra. Agganciando le braccia alle gambe, dondolò istintivamente, sguardo perso nel vuoto. Che cosa aveva fatto? Che lo prendessero pure. Continuare così era follia. Voleva solo riposare. Correva da quanto ormai? Accasciò la testa sulle ginocchia e prese a sognare. Si svegliò pochissimo tempo dopo, sentendo nuovamente il treno passare. Appiattito contro il bordo, vide sfrecciare la massa metallica illuminata. “Sono nel mezzo di un incubo”.

Si alzò, cercando di ripulirsi alla buona. Ad ogni passata di mano, una nuvola di polvere si distaccava dagli abiti. Tossendo, si coprì il viso con gli avambracci, per attutire il rumore. La spirale. Era di un blu acceso. Ne toccò la superficie e la nausea cessò.

“…bi…. us… cri… lod… ven… ri… rmi?” In testa una voce indistinta. “Tu…. come…. atto a …varne…. uno…. ra…. nante?”

Chiunque fosse si aspettava che lui uscisse allo scoperto. Chiuse gli occhi e si concentrò. Guardò il muro di fronte a lui come fosse una bianca. Finse d’essere a NubikA e si preparò a saltare.

“Turb… sci… tirmi? Tu….ne!!!!” era una voce di donna. “Turbine!!” … non riusciva ancora ad identificarla. “Turbine, riesci a sentirmi? Ho il tuo cristallo. L’hai consegnato a Replica prima della tempesta. Come hai fatto a trovarne uno ancora funzionante? Turbine!! Riesci a sentirmi?”

“Principessa… dove…. come?…” si guardò attorno spaesato ma non vide nulla. “Turbine! Concentrati sul cristallo che hai lasciato a Replica! Pensavo fossi morto”. Nella voce regale una nota di rimpianto.

“Il cristallo che ho lasciato… Replica… ma certo! Replica! Il cristallo! Devo trovare Kaydence. Principessa sapete dirmi in che condizioni versa?”. Nessun contatto. Nessuna voce. Nessun segno. Solo dei passi lungo il camminamento del tunnel. Passi solitari, veloci e ben scanditi. Erano arrivati a prenderlo.

“Mike lo vedo, ce l’ho a tiro. Aspetto un tuo ordine per aprire il fuoco”.

“Uccidi il bastardo”.

Il colpo arrivò violento e letale. Sangue. Un tonfo. Nessun respiro, nessun battito. Solo silenzio e una pistola fumante.


NubikA – Capitolo secondo

NubikA – Capitolo primo

NubikA – 01

NubikA – Prologo

Nubika

NubikA – Capitolo Secondo


“Annie, il nostro ospite si è alzato” disse Briggs, sorpreso da quell’uomo che osservava lentamente, nel tentativo forse di scorgere una faccia amica.

“O abbassato, Kaydence, dipende sempre dal punto da cui la si guarda” Turbine sorrise. Era legato a Kay in modo profondo, un modo che Briggs non poteva conoscere. Si muoveva perfettamente a suo agio nella stanza, come se ci avesse vissuto per mesi. “Ciao Annie, piacere di conoscerti personalmente; di riuscire finalmente a parlarti. Come stai?” il saluto fu accompagnato da un inchino antico. Annie lo guardava ad occhi sgranati, silenziosa per una volta.

“Ci conosciamo? Non ho memoria di te.” Nel ragazzo s’insinuò il dubbio. Si muoveva agitato piegando il collo per controllare la ragazza mentre ripercorreva mentalmente distanze da porte e finestre. Chi aveva fatto entrare? Un uomo sorridente, a quanto sembrava.

“Ci conosciamo, si. Proprio ora. Presta la massima attenzione a questo momento. Perchè proprio ora stiamo cambiando qualcosa. Semplicemente parlando. Non ho la minima idea di cosa significherà in un futuro tutto questo. Ma sono qui per darti il mio aiuto. Ti prego siediti. Conosco quell’espressione, Kay. Stai cercando di capire se ho intenzioni ostili nei tuoi confronti, vuoi proteggere Annabeth e credi che io sia una minaccia. Può la memoria esserlo?” Prese la sedia di legno per l’angolo facendola roteare su sé stessa un paio di volte. Poi si sedette. Si rialzò subito, infilando una mano nella credenza ed estraendo un vecchio barattolo di caffè. Si fermò senza aprirlo. “No qui tieni i soldi, giusto? In che anno siamo Kay, 1994?” Sbirciò dove doveva essere il calendario e riprese: “Novantasei. Interessante. Non hai ancora comprato la Mustang gialla eh? Annie ti chiederei se vuoi una tazza di caffè ma so che lo bevi solo per fargli compagnia e credo che il tuo ragazzo ora preferisca un buon digestivo”. Rimise il barattolo a posto, ne prese un secondo, preparò il caffè. Nel silenzio che regnava nella stanza, sempre sorridente, trovò una bottiglia di SOUTHERN COMFORT, ancora sigillata, e ne versò un bicchiere al giovane uomo. “Sono estremamente felice d’essere qui con voi, sapete? Scintillò un nuovo sorriso e si sedette al tavolo. Voglio assaggiare questo caffè, pensò, sentirne il sapore. Lo ingoiò d’un fiato dalla tazza fumante. Divenne di tre colori distinti e tuffò la lingua sotto l’acqua corrente.

La coppia lo fissava. I due ragazzi comunicavano tra loro attraverso sguardi e piccoli cenni. Kaydence negò oscillando la testa, come a fermare un possibile piano della ragazza. Prese il bicchiere dal tavolo, lo bevve interamente. Dopo un sospiro alcolico, si sedette passandosi una mano sulla testa. Poi iniziò a domandare.

“Chi sei tu? Cosa vuoi da noi? Per chi lavori?” Ci volle qualche istante prima che Turbine riuscisse a rispondere, l’ustione non gli permetteva di esprimersi liberamente. “Mi chiamo Turbine. Sono un messaggero e provengo da un luogo chiamato NubikA. No, non sono di qui. No, non intendo farvi alcun male e no, non lavoro per nessuno che voglia danneggiarti. Io sono… la tua memoria.Una memoria che in questo momento si sta riscrivendo. Qualcuno che non avresti dovuto mai conoscere, di cui non avresti dovuto sapere. Qualcuno che in un altro luogo consente alla tua mente di memorizzare le informazioni che vivi affinché tu le possa ricordare. Pensami come a un processo mentale. O a una parte del tuo cervello, se preferisci. Ma grazie a me tu ricordi. Ti propongo un accordo, dato che credermi è impossibile. Pensa al momento in cui sei nato. Pensa ai dettagli più remoti della tua esistenza. Li conosco a memoria. Ed essendo qui, ora li conosci anche tu. Concentrati”.

“Ok, messaggero. Ipotizziamo per un momento che tutto quello che mi hai raccontato fino ad ora non sia una conseguenza del fulmine che ti ha colpito, scusami ma non sembri proprio sano di mente, e che tu sia chi dici di essere. A cosa sto pensando?”

“Sei indeciso sul da farsi e stai prendendo tempo. Prima ti sei chiesto se fosse meglio fuggire, colpirmi (pensiero che hai messo da parte) ed ora speri che io indovini il tuo pensiero. Ma io non leggo nel pensiero. Io conservo i tuoi ricordi. Perciò ora, giocherai a carte con un pazzo”. Si alzò, prese un mazzo di carte logoro dal terzo cassetto in basso della cucina, un asciugamano di media grandezza e mischiò le carte. Sedendosi nuovamente, lo fissò negli occhi. “Facciamo qualcosa di più creativo. Scoprirò il mazzo di carte davanti a te. Sarò bendato e in tuo potere. Il primo passo nei rapporti umani è instaurare un rapporto di fiducia reciproco. Guarda con attenzione le carte. Memorizzale. Scegline quante ne vuoi. Non dirmele. Poi, rimescola il mazzo. Scommetto che sarò in grado di ricordarle meglio di te”.

Lo bendarono, scoprirono il mazzo e scelsero 22 carte. Non bastò il tempo di ultimare la mescola che l’uomo con la spirale al braccio conteggiò: “Re di fiori, due di cuori, sette di quadri, asso di picche, donna di cuori,…” così per altre sedici carte per poi concludere con un jolly. “Sei bravo con le carte. Ma non mi basta. Scelgo io il gioco ora. Tu dici d’essere la mia memoria, allora ti fornirò tre indizi. E tu mi dovrai dire a che ricordo appartengono.” chiocciò Kaydence. Turbine dimenticò immediatamente la scottatura alla lingua e fece il sorriso più felice da quando era arrivato. “Sai Kay, è davvero un peccato che non sia concesso a un messaggero instaurare un rapporto con ognuno di voi. Per quello che mi riguarda, sei un ottimo compagno di giochi! Spara”.

“polaroid, cancello, riccioli rossi. A cosa sto pensando, messaggero?” chiese velocemente Briggs.

“Avevi otto anni e mezzo ed eri in giardino a fotografare il tuo cane. Un cocker di pochi mesi. Arrivato davanti al piccolo cancello di legno che dava all’ingresso del giardino vedesti un uomo dall’altra parte. Era ubriaco e stava rientrando a casa. Si rovesciò un paio di volte sull’uscio, rimettendosi in piedi. Poi entrò sbattendo la porta e urlò un nome: Rachel. Rachel sono a casa. Potrei raccontarti quello che accadde dopo, ma mi soffermerò invece sui dettagli che forse non reputi importanti ora. Quello stesso giorno Bongo, il tuo cane, aveva disotterrato un osso dal giardino di fronte. Un osso di media grandezza. Aveva una forma strana per essere un osso, ma non ci prestasti caso. Che altro? Era una giornata primaverile, il 16 aprile del 1970. Undici e quarantaquattro del mattino. Aveva appena smesso di piovere. L’aria sapeva di menta piperita, eri vicino alla pianta. La temperatura si aggirava attorno ai 18 gradi e in bocca avevi ancora il sapore della torta al cioccolato di tua madre. Devo proseguire? Rispondimi tu ora: moneta d’argento, bacio, odore di rose.” Annie strinse automaticamente il ciondolo che portava al collo. “Ma questo potrei saperlo per altri motivi, ti descriverò invece il significato di una frase: guadagnarsi il proprio futuro. L’hai saputo appena dopo quel bacio e… non l’hai mai detto a nessuno. Tranne che a me. Hai bisogno di nuove prove?”

“Perchè sei qui?”

“A quest’ora non sei solito spostarti nella serra per curare il bonsai? Andiamo, te lo spiegherò lì”. Si spostarono nella serra mentre Annie li seguiva stranamente in silenzio. La serra era gremita di piante di varia natura. La composizione era prevalentemente perimetrale e al centro della struttura c’era un grande tavolo di legno dov’era riposto il bonsai che da tre anni Kaydence curava con grande attenzione. Lo aiutava a pensare. Così, prese gli attrezzi e iniziò a prendersene cura. Intanto, all’esterno il tempo si stava finalmente rimettendo. Un grande squarcio all’orizzonte si apriva sulla massa di nuvole nere sopra le loro teste. Era sera inoltrata, il sole si stava lentamente adagiando sulle colline circostanti e l’atmosfera cupa si colorava d’un violento arancione. Turbine sfilò da una parete un cappello da cowboy e lo mise in testa. Gli piaceva sperimentare abitudini di Kay, per lui erano familiari perciò non si sentiva a disagio replicandole. Lo guardò per diversi istanti, ponendo attenzione sul modo di fare di quel ragazzo. Era un uomo di cuore. Non sapendo esattamente come iniziare disse semplicemente

“ Attraverso il respiro”.

“Non capisco”.

“Si dice,” iniziò a spiegare afflosciandosi su una vecchia sedia e togliendosi il cappello “che per ogni uomo vi sia un messaggero. Il primo respiro porta la vita; con essa un messaggio recapitato dal messaggero. Siamo custodi di memorie, memorie che non possono – per nessun motivo – essere cancellate. Ma può accadere che il sigillo si perda.Nel peggior modo possibile.Così è necessario recuperarlo. Sono qui per questo. Devo recuperare il sigillo” .

“E come pensi di farlo?” la risposta arrivò dopo qualche istante di silenzio. La grande serra era illuminata da un sole prossimo a sparire e l’uomo stava prestando la più totale concentrazione nella cura del bonsai.

“Inducendoti alla morte”.

Un rumore di forbici sul pavimento s’incendiò dell’ultimo raggio di luce.


NubikA – 02

NubikA – Capitolo primo

NubikA – 01

NubikA – Prologo